La Spiritualità Antropologica per persone con problemi alcol - correlati

Il tema in questione di questa giornata è la Spiritualità ed il suo significato terapeutico
per persone dipendenti da sostanze. Un proverbio Africano dice “se vuoi rendere
feconda la tua terra, attacca l’aratro ad una stella”. La stella ci fa pensare che essa
appaia essenziale per ogni progetto che voglia generare libertà e felicità in una
persona, e chi è portatore, come nel nostro caso di una dipendenza, può prendere
consapevolezza di essere soffocato da una drammatica schiavitù. La stella appare un
punto di riferimento che sta’ oltre, perciò in alto, che emana chiarezza, che è
coinvolgente e stabile, nel suo essere costante nel tempo. Tale stella coincide con la
Spiritualità.
Alla domanda cosa sia la Spiritualità sia le persone affette da dipendenze, sia l’uomo
della strada, per la maggior parte rispondono, che essa è qualcosa attinente alla
religione, ma si tratta di due cose molto diverse; la religione è infatti una scelta, mentre
la Spiritualità invece è di tutti, essa è una capacità che è in ogni uomo, il quale non
usarla, ma non non averla. La Spiritualità trascende la materialità e cerca il senso al di
là della natura delle cose. Si accompagna con l’inquietudine, l’incertezza, la sofferenza,
per trovare un’armonia che è oltre, che è in alto. La Spiritualità è domanda di senso,
mentre la religione è già la formulazione di una risposta.
Per il cristianesimo è lo Spirito Santo, per altri è la fonte dell’energia divina, la fonte
dell’amore, dell’intuizione o il centro vitale di una persona. Oggi la parola Spiritualità
prima di essere una categoria appartenente solo alla sfera religiosa, è una categoria
Antropologica, riguarda cioè l’uomo, ogni uomo, tutto l’uomo, lo spirito come centro
animatore di ogni persona. Autocomprendendosi come spirito, l’uomo rileva la
globalità del suo essere e agire. Ci può essere quindi una Spiritualità senza Dio. C’è
posto per la Spiritualità degli agnostici, dei non credenti, di coloro che sono in cerca di
verità, insoddisfatti delle risposte prefabbricate, di verità definite una volta per tutte.
C’è una Spiritualità che si nutre dell’esperienza, dell’interiorità, della ricerca del senso
e del senso dei sensi, del confronto con la realtà della morte, e con l’esperienza del
limite, c’è una Spiritualità che riconosce l’importanza della solitudine, del silenzio, del
pensare, del meditare. E’ una Spiritualità che va incontro all’altro e resta aperta
all’altro se questo mai si rilevasse.
Insomma oggi il bisogno di Spiritualità è un anelito diffuso come possibilità di
sopravvivere e realizzarsi come singoli e come singoli nella società. Essa aiuta la
persona non solo a liberarsi dalla sua dipendenza, ma ad indirizzare le proprie risorse
in un progetto di vita maturante ed appagante. La formazione integrale ha un suo
presupposto basilare nella ricerca del chi sono, del perché vivo e del come vivere. Tale
ricerca che riveste l’interiorità di ciascuna persona, cerca di fare sintesi e dare senso ad
ogni altra conoscenza, essa non è un presupposto scontato, anzi è uno di quegli aspetti
che ha più bisogno di essere costantemente definito. La spiritualità deve partire dal
basso, da noi stessi, attraverso il nostro pensare, attraverso il nostro corpo, attraverso
le nostre ferite, è come scendere nei sotterranei della realtà e di lì ascendere ad una
visione più alta di se. La Spiritualità che parte dal basso, arriva a dare una lettura
dell’emarginato e del suo ruolo assolutamente innovativa. Esso con le sue difficoltà ha
qualcosa di profetico, la sua ricerca di verità scuote la comunità; egli mette sul tappeto
delle esigenze autentiche, ed il suo è un grido di verità. Dietro alle belle parole, egli
fiuta il falso, avverte la distanza tra quello che si dice e quello che si vive.
La Spiritualità deve essere una via che porta dentro la quotidianità, e di questa fa
scoprirne il significato. Diventare uomini spirituali, cioè pensosi, capaci di meditare,
porta la persona a contatto con il suo centro, perché nel suo vivere quotidiano non si
trovi forviata da forze contrastanti. Aiutare l’altro, rispettarlo, correggerlo, amarlo,
nelle relazioni quotidiane sono il risultato di una dimensione dello spirito, per cui si
crede che l’altro abbia lo stesso valore che attribuiamo alla nostra persona.
L’esperienza spirituale è qualcosa di profondo e di stabile, è un’esperienza normale di
vita, capace di dare agli eventi più elementari e più quotidiani, una lettura più
profonda, frutto di una ricerca e di un pensare disciplinato. Spesso essa scatta in
seguito a vicende problematiche, a crisi, a sofferenze, ma anche grazie a quell’ Ulisse
che ciascuno ha dentro di se e lo spinge ad esplorare l’ignoto, oltre le colonne d’Ercole.
Secondo il prof. Hudolin, la Spiritualità antropologica, non deve essere vista come
approccio spiritualistico o religioso con la realtà, ma come la cultura umana generale
esistente, da promuovere e proteggere. Questo patrimonio diventa patrimonio comune
a tutti i club, anche se è un tema che affascina e intimorisce chi si appresta a parlarne.
Huodolin afferma che i programmi algologici si basano sulla solidarietà, sull’amicizia,
sull’amore, sulla ricerca di pace. In senso generale, lottando per i diritti umani
fondamentali, cercando di accettare la diversità e la convivenza.
Il club degli alcolisti in trattamento, fa tutto il possibile per proteggere i valori
spirituali, quei valori che sono specifici della specie umana, che la rendono diversa da
tutte le altre creature che la circondano e che la rende unica, che la rende in qualche
modo non afferrabile, non riconducibile ad un solo aspetto, oppure ad un suo sintomo
organico e psichico. Secondo il professore, senza etica non c’è spiritualità e viceversa. Il
massimo risultato di una spiritualità veramente umana, è dato dalla pace, pace come
cultura, pace come vissuto quotidiano del cuore, pace come ricerca assidua di una
comunità impegnata nel servizio dell’ uomo.
La spiritualità antropologica non coincide quindi con la religiosità, ma accoglie ed
armonizza nel suo orizzonte anche il fatto religioso, che del resto è caratteristico
dell’uomo in quanto tale e riscontrabile presso ogni cultura. La vita è un mistero che
può essere vista come evoluzione spontanea del materiale organico presente
nell’universo o come un dono di Dio o della natura. In entrambi i casi, però non è una
semplice proprietà privata, anzi si potrebbe dire che ci sia data in prestito. Dobbiamo
sentirci “ospiti della vita” (Remo Baudet). In ogni caso siamo liberi nell’usarla da un
punto di vista etico, non siamo però liberi di danneggiarla o distruggerla
intenzionalmente.
Dovremmo sentirci impegnati a vivere e a testimoniare con la vita , il valore della
sobrietà, come punto di forza di una spiritualità universale. Si ritiene che la sobrietà sia
sinonimo di libertà, di apertura, di cammino.
Anche quando ci troviamo in situazioni difficili e non di facile soluzione, dobbiamo dire
“devo andare sempre oltre la curva della salita, anche se faticosa, perché ci sarà un
nuovo orizzonte da esplorare, una nuova dimensione da vivere. Allora si può capire
come la spiritualità antropologica abbia in se stessa una legge di crescita e di sviluppo,
per il semplice fatto che l’essere umano è sempre alla ricerca del senso della propria
esistenza e finché vive si trasforma. Inoltre si pensa che al valore della sobrietà sia
sempre possibile scoprire aspetti nuovi e sorprendenti di bellezza e profondità, dai
contenuti solidi e validi per tutte le situazioni del vivere umano. In quanto
all’importanza dei sistemi che trattano di problemi attinenti al consumo di alcol, il prof.
Hudolin ci ha sempre dimostrato che l’obbiettivo non è soltanto smettere di bere.
Bisogna infatti provvedere alla sviluppo di un nuovo comportamento all’interno
dell’individuo, della famiglia e della società, che generi una nuova qualità di vita.
Al club del “Secco” al quale io appartengo, non ci limitiamo soltanto a promuovere
l’osservanza della regola del “non bere”, ma al suo interno accade qualcosa anche a
livello della nostra spiritualità, dell’arricchimento del senso umano, ed il fatto di poter
diventare migliori, addirittura migliori di come eravamo prima della dipendenza da
alcol. Cerchiamo di costruire una nuova strada per la vita, la strada della sobrietà, così
che ognuno si senta al suo posto e nello stesso tempo in cammino con la storia di tutti.
Al gruppo si proclama spesso che il bere alcolici è sempre e comunque fonte di danni e
rischi qualunque sia la quantità consumata, la scelta di non bere è una scelta salutare
che concorre alla promozione di stili di vita sani e un superamento del dogma della
normalità del bere accettato e promosso dalla nostra cultura sociale.
Noi celebriamo anche l’incontro libero e sincero tra persone uniche ed irripetibili, in
quanto portatrici di esperienze diverse originali, che imparano ad ascoltarsi in un
clima di autentica comprensione, per cui non si bada al ceto, al senso, al sesso.
L’esperienza di relazione autentica, vissuta al club ogni settimana, si arricchisce
continuamente di stimoli, emozioni, vissuti, legami, alla luce dei quali la bellezza e la
ricchezza della sobrietà si manifestano nell’autenticità dell’incontro tra persone che si
riconoscono non più di tanto, in un problema, ma per una ricerca di dignità, speranza,
libertà e futuro della propria vita. Soprattutto i membri più anziani del club, che hanno
superato la dipendenza da tanti anni, il lunedì lasciano le loro confortevoli case, o
impegni più interessanti, per partecipare a queste riunioni, perché sono consapevoli
che il loro dare aiuto, è anche riceverlo e ascoltano i bisogni altrui, calandosi nella pelle
e nel cuore di chi gli è vicino. A volte però nel nostro club succede che si scada in
giudizi preconfezionati, e questo secondo me perché siamo esseri umani e come tali
abbiamo dei limiti. Comunque c’è sempre il nostro servitore-insegnante, uomo di
ineguagliabile professionalità ed umanità, che è pronto a fermarci e a farci riflettere
quando ciò accade. Io personalmente non sono ancora stata in grado di portare aiuto a
nessuno, ma dalla partecipazione al club ho ricevuto tanto, soprattutto in termini di
aiuto e compartecipazione; a volte basta un sorriso, una pacca sulla spalla, un buffetto
o un abbraccio a farti sentire meglio, ad alleviare il dolore delle tue pene.
Alcuni mesi fa sono stata ricoverata per ben due volte in ospedale per patologie non
strettamente collegate all’alcol. Il nostro servitore-insegnante entrambe le volte mi è
venuto a trovare come anche alcuni membri del club, mentre altri mi hanno raggiunto
telefonicamente. Questo mi è servito molto, mi ha fatto star meglio, mi ha fatto sperare
che forse allora essi credono ancora un pochino in me, nella mia capacità di recupero.
L’unica cosa che riesco a fare per il ns. club, sono i verbali, riportando per scritto ciò di
cui abbiamo parlato nell’incontro precedente, soprattutto per chi non era presente;
non sempre riesco a farlo, ma quando ci riesco, credo di riuscire a riportare abbastanza
fedelmente ciò di cui si è parlato, ascoltando, ma andando anche al di là delle semplici
parole, mettendomi nei panni di chi si racconta, usando una specie di empatia.
Calandomi nei loro problemi, nelle loro frustrazioni, a volte ci riesco così bene, che
finisco per star male per loro. Ad esempio un membro, che ora sta bene, ed è riuscito a
ricostruirsi una vita nonostante tutto, ha alle spalle una storia di abbandono e
solitudine, e sofferenza. Però sul letto di morte è riuscito a perdonare suo padre ed
ammette che ciò gli ha fatto un gran bene; anch’io credo che il perdono sia il
sentimento più alto a cui si possa giungere, che ti permette, cosa più importante, di
riappacificarti con te stesso, a farti star meglio, perché la rabbia ed il rancore , non
appagano, anzi ti fanno soffrire di più. Questo passo non è ancora riuscito a farlo con la
madre ancora in vita, però sta cercando di analizzare la vita di lei, cercando di trovare
alcune giustificazioni al suo ruolo niente affatto materno, ma non è ancora giunto il
momento del perdono; io spero lo faccia prima che sia troppo tardi, perché questo non
potrà che portare benessere e pace a lui stesso.
In questi ultimi anni ho pensato spesso al senso della vita, del mio essere in questo
mondo e soprattutto al senso della morte, però non sapevo che questo mio meditare
potesse chiamarsi spiritualità. La maggior parte delle volte mi sono data delle risposte
che è meglio non mettere per iscritto, però alcune volte quando il mio cervello è
sgombero dai fantasmi che molto spesso lo affollano, mi sono data delle risposte, credo
più sensate. Chiusa nel silenzio della mia camera, mi sono messa a riflettere sul senso
della vita, che credo sia quello di portare aiuto e cercare di comprendere gli altri, per
poi stare meglio anche noi stessi. Spesso piango, ma il mio pianto non è soltanto per
me, ma per tutta l’umanità, per i suoi scarti e anche per quelli che credono di avere il
mondo nelle loro mani, ma basta che allarghino un po’ le dita e non resta loro niente.
Perché come scriveva Ungaretti, “si sta come d’autunno sugli alberi le foglie…”. Non è il
successo né il denaro quello che conta, ma una vita fatta di affetti, calore, famiglia.
Secondo me la cellula primordiale della società, è la famiglia e da lì appunto bisogna
partire per farne il luogo dei sentimenti. Mi è sempre piaciuto fare tutto quanto
ritenevo utile e possibile affinché gli altri suoi membri si trovassero bene, la mia
serenità produceva un legame con loro e ciò significava al contempo sicurezza per me.
I sentimenti che servono alla famiglia e di conseguenza al rapporto con gli altri, sono
per me la solidarietà, che significa senso di considerazione della vita, che è un
sentimento duraturo e che può accrescere nel tempo, nel bisogno di stare vicini, per
poterci scambiare aiuto. È importante poi il sentimento di riconoscenza, per magari
aver avuto un aiuto essenziale e parte della memoria dei sentimenti che richiama gesti,
un sorriso, una carezza che riporta nel rievocarli un senso di gratitudine, un’ emozione
di piacere.
C’è poi il sentimento di appartenenza sociale, nei confronti dei nostri simili, fare del
bene è bellissimo e costa poca fatica, anzi procura piacere. Se noi tutti scoprissimo
quanto è bello fare del bene, quale piacere se né ricava, troveremmo insensato
quell’atteggiamento duro nei confronti degli altri e quell’uso del dominio e
dell’imperio, della imposizione che ostacola ogni comunicazione. La bellezza di
stringere una mano, di abbracciare e di guardare il volto di chi è impaurito e ora si
distende, si rasserena. Sono giunta alla conclusione, che fare del bene è un’espressione
dell’esigenza del singolo e per paradosso anche del suo egoismo, e torno nuovamente a
dire che è stolto fare degli anni dell’esistenza una corsa al successo, per portarselo
sotto la terra; è stolto desiderare un potere sempre maggiore come se si trattasse di
un’onnipotenza da accumulare per sempre, quando tutto intorno a noi mostra come
sia sfuggevole la vita e basti un colpo di vento per spegnerla e sostituirla con la
tristezza del nulla.
Credo invece sia saggio e umanamente possibile amare e non si può amare senza
sentire il rimando dell’amore e l’amore non è mai accumulo, mai potere, mai ricchezza.
Più ostico per me è dare un senso alla morte, in questo mi hanno aiutato un
grandissimo poeta, Ugo Foscolo ed il mistero della resurrezione per i non credenti,
tratto da un brano di Repubblica, e precisamente un dialogo tra il Direttore Eugenio
Scalfari e il Cardinale Carlo Maria Martini, dove quest’ultimo afferma con estrema
semplicità e incommensurabile profondità, che ogni volta che l’amore del prossimo
vince sull’egoismo dell’amore di se, quello è il momento in cui si risorge.
Motivo centrale della poesia del Foscolo è l’appassionta ricerca dell’origine e della
giustificazione della nostra esistenza, e solo con l’affermazione dei valori spirituali,,
verità, amicizia, amore, in essi operando virtuosamente, possiamo trovare una ragione
alla nostra vita e l’unica possibile immortalità consiste nel ricordo. Nel Carme i
Sepolcri, afferma che il defunto continuerà a vivere oltre la morte nella memoria e nel
cuore di chi lo ha amato.
Si attesta nell’uomo un sentimento di continuità della vita attraverso un’eredità di
affetti, di ideali che contribuiscono alla formazione di un patrimonio spirituale che
durerà nei secoli.

P.L.
Interclub Forte dei Marmi
26 giugno 2010